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Accetto RifiutoIl primo documento scritto che nomina la chiesa è un privilegio del 983 d. C. in cui si legge che il Vescovo di Vicenza Rodolfo fa dono ai frati Benedettini di S. Felice di Vicenza di una campagna presso la chiesa di San Vito di Marostica.
Si intuisce che la chiesa faceva parte di una “Curtis” con i contadini che si adoperavano in lavori di bonifiche e coltivazioni agricole sotto le direttive dei Monaci Benedettini. Da “Curtis” diventa “Vicus” villaggio. In un atto del 1442 è ricordata “ORA SAN VITI APUD ECCLESIAM SAN VITI”, La contrada di San Vito presso la chiesa di San Vito.
La chiesa orientata ha una facciata armonica, porta architravata con lunetta, che in alto si conclude con il timpano e un piccolo rosone, All’esterno sul fianco destro si vede il campanile e una seconda porta con lunetta che comunica con una stanza e la sacrestia.
Il campanile a canna quadrata è incorporato fra la chiesa e la sacrestia. La cella campanaria prende luce da quattro monofore ad arco orientate ai quattro punti cardinali. Le due campane sono quelle antiche, una con iscrizioni in caratteri gotici forgiata in forma ovoidale da “Maistro Bagio”, l’altra firmata “Martino Piccinino” reca la data 1706 e la scritta: “Fatta con le elemosine dei Fedeli”.
L’insieme architettonico è circondato da alte piante, alcune sempreverdi.
L’interno si presenta con una sola navata, il soffitto ha travature in legno che sorreggono i mattoni con sopra le tegole. L’arco trionfale introduce al presbiterio dove si può vedere l’altare, nell’abside in una nicchia risalta la statua lignea della Madonna Immacolata di Lourdes, un crocefisso in terracotta opera di Gianni Bertacco e un dipinto in stile naives, raffigurante i santi: Vito, la sua nutrice Crescenzia e Modesto martirizzati nel III sec. a. C., opera dei coniugi Geremia, sul modello di una tela conservata nella chiesa di Arsiè (BL). A destra una porta comunica con la sacrestia nelle cui pareti sono stati murati dei reperti decorativi in pietra emersi durante i lavori di restauro. Da come sono scolpiti, alcune persone hanno confermato che potrebbero risalire all’epoca longobarda.
Su una parete della scala che porta al piano superiore si vede un grande crocifisso ad affresco con la scritta: “PER LIGNUM CRUCIS DOMINI A NEMICIS NOSTRIS LIBERA NOS DEUS NOSTER” = (Per merito del sacrificio della croce del Signore liberaci Dio nostro dai nostri nemici), queste stanze nei secoli scorsi sono state adibite a romitorio. Nell’anno 1666 nel romitorio vivevano due eremiti: “Fra Francesco Rielo d’anni 60 e Fra Agostino Bertagnan d’anni 20 circa”.
Nel 1745 vi era un eremita Arcangelo Fior da Nove che la chiesa aveva nell’abside un Crocefisso ad affresco, una tavola con predella dove erano dipinte storie del Beato Lorenzino, un altare “scolpito in pietra, nella sacrestia e stanze annesse arredi e paramenti sacri.
Lo storico Giovanni Spagnolo nel 1907 scrive che la chiesa è ancora in buone condizioni. Dal 1930 circa venne abitata a rotazione da alcune famiglie. L’ultimo ad abitarci è stato Agostino Boin che viveva solo ed era conosciuto come “testa grossa”. Si limitava a suonare la campana negli orari tradizionali della giornata. Per vivere andava a questua dalle famiglie del circondario, morì nel 1956. Poi il completo abbandono e di conseguenza la graduale rovina, crolla il tetto e nella navata crescono gli alberi. Un altro duro colpo viene dato il 6 maggio 1976 con la forte scossa dovuta al terremoto del Friuli. A partire dal 1980 gli abitanti della contrada di San Vito e quelle limitrofe si organizzano per raccogliere contributi per restaurare la chiesetta. Fu così che grazie alla collaborazione di tutti, uomini e donne, muratori, falegnami e elettricisti, architetti, ingegneri, geometri, del Comune di Marostica e degli Enti pubblici preposti, della Parrocchia di Sant’Antonio Abate con l’arciprete Don Domenico Zordan, fu possibile finalmente, dopo circa due anni di lavori di inaugurare la riapertura della Chiesetta, domenica 11 ottobre 1987con festa solenne.
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